In estate la prevenzione è anche questo
di Guido Gori, geriatra, psichiatra e direttore scientifico di Rete Pas.
Attorno al termine solitudine si possono individuare alcuni elementi di possibile confusione: da una parte c’è la solitudine ricercata (beata solitudo), da un’altra parte c’è l’isolamento fisico (social isolation) e infine la solitudine come sofferenza (loneliness), stato emotivo negativo, ovviamente non ricercato, basato sulla discrepanza tra relazioni interpersonali desiderate e quelle oggettivamente presenti e percepite.
Quest’ultimo tipo di solitudine non riguarda la durata di tempo che si spende con altre persone, ma è più correlata alla qualità dei rapporti, piuttosto che alla quantità. Una persona sola sente di non essere capita dagli altri e pensa di non avere rapporti significativi.
È di questa ultima forma che vorremmo occuparci maggiormente, come medici appartenenti ad una struttura sanitaria e sociale multidisciplinare (Fondazione Pas), perché è stato scoperto che la solitudine è un fattore di rischio per molti problemi di salute fisica, come poi vedremo in maggiore dettaglio.
Un problema diffuso
Secondo il rapporto Istat ed il British Red-cross del 2018, la solitudine riguarda il 20% degli adolescenti, l’11-30% degli adulti e il 40-50% degli ultrasessantacinquenni. Circa 4.000.000 di ultrasessantacinquenni ha nella tv la principale forma di compagnia. Il 50% dei soggetti disabili vive in una condizione di solitudine: la disabilità è presente in ogni fascia di età ma numericamente è più significativa nella terza e quarta età.
Il problema della solitudine degli anziani è maggiormente accentuato nel periodo estivo quando appunto è aumentato il rischio di vivere molto più tempo da soli, a meno che non abbiano una fitta rete di amicizie o di parenti. La solitudine colpisce particolarmente gli anziani che hanno perso il coniuge e che vivono lontano dal centro delle città, in aree periferiche che non agevolano occasioni sociali di incontri; il 70% dei caregivers che si fanno carico di un soggetto sofferente di solitudine lamentano stati d’ animo simili a quelli dei soggetti di cui si prendono cura.
Solitudine e salute
La solitudine è un fattore di rischio di depressione e, frequentemente, si associa ad apatia e assenza di speranza per il futuro. Gli anziani con i più alti livelli di solitudine hanno quasi il doppio di probabilità di morte prematura rispetto a coloro con più bassi livelli. Il team di ricercatori giunto a tali conclusioni si è basato sul dato che i linfociti di soggetti sofferenti di solitudine hanno una attività genetica più orientata in senso pro-infiammatorio e molto meno orientata in senso anti-virale e anti-batterica. Ciò aumenterebbe il rischio di contrarre malattie infettive, essendo il soggetto più vulnerabile in quanto meno difeso.
La ricerca ha inoltre dimostrato che le persone sane, ma con abitudini non salutari (tabagismo e vita sedentaria), se hanno contatti sociali stretti vivono più a lungo di coloro che hanno le stesse caratteristiche, ma che si sentono isolati.
Una ricerca del 2012 ha evidenziato che la sensazione di essere soli, più che l’esserlo effettivamente, è associata ad un aumento del rischio di demenza in età avanzata. Infatti alcuni anni dopo una ricerca pubblicata su Jama Internal Medicine ha evidenziato una associazione, in anziani cognitivamente normali, tra solitudine e depositi intracerebrali di sostanza amiloide, più alti che in soggetti con buone relazioni affettive e sociali.
In uno studio su anziani fragili degenti in una RSA (Residenza Sanitaria Assistenziale), inoltre, sono stati identificati 4 temi relativi al vissuto di solitudine esistenziale:
- essere intrappolati in un corpo fragile e deteriorato,
- essere considerati con indifferenza,
- non avere qualcuno con cui condividere i propri sentimenti,
- non avere scopi, interessi, progetti per il futuro.
Quindi ci possono essere situazioni in cui si associano malattia fisica, isolamento e depressione, come appunto durante un ricovero sanitario più o meno prolungato. In tale evenienza spesso capita che un degente, soprattutto se anziano, sia, o si senta, come un piccolo frammento in un contesto più vasto e disperso, in cui magari può diventare un oggetto di studio e di cure, perdendo però la sua identità di soggetto desideroso e bisognoso di stare all’interno di una relazione. Per tale motivo spesso la degenza ospedaliera è associata all’infelice esperienza della solitudine.
La cura della solitudine
Sicuramente andrebbe migliorata la conoscenza del problema presso l’opinione pubblica, presso i mass media, la stampa, gli assessorati delle politiche sociali e sanitarie.
Andrebbero identificati meglio i luoghi tipicamente associati alla solitudine, e certamente in questo ambito rientrano le strutture didattiche, i servizi sanitari e assistenziali, cioè ambienti in cui la dimensione gruppale prende nettamente il sopravvento su quella individuale e relazionale.
In questi ambiti andrebbe insegnata, come già avviene in alcune strutture, la modalità corretta per instaurare relazioni di qualità. Bisogna ricordare che una buona relazione non è soltanto verbale, ma è anche o soprattutto corporea, cioè mimica, gestuale, prosodica e prossemica, valorizzante quindi il tono vocale, la distanza e lo sguardo verso l’interlocutore. Sarebbe auspicabile che il mondo politico, sociale e sanitario, il mondo del privato, del volontariato etc si potessero sensibilizzare attorno a questo problema.
Si potrebbero incrementare e potenziare centri sociali di incontro, di scambio di opinioni, di approfondimento politico, culturale, sportivo, religioso, musicale. Così alcuni soggetti che si sentono soli potrebbero sentirsi spronati a coltivare qualche interesse, come stringere insperate amicizie, creare solide relazioni o prendersi cura di animali o piante. Sarebbe auspicabile che in simili realtà la burocrazia potesse subire un concreto ridimensionamento ed invece prendessero il sopravvento l’interesse, la curiosità e la piacevolezza dell’apprendere e dello stare insieme.
Infine…
Il concetto di solitudine ha una doppia valenza: in alcuni casi casi ha un volto benigno mentre in altri ne ha uno decisamente maligno.
Anche il significato metaforico-etimologico della radice “ sol” orienta verso questa duplicità: il neonato infatti veniva deposto sulla nuda terra ( in latino solum) a indicare una profonda rottura del legame precedente, ma al tempo stesso prendeva contatto col solidum cioè il mondo della realtà.
Nel mondo letterario c’è una propensione verso una immagine positiva della solitudine, in quanto momento introspettivo di contemplazione, ed anche nei tempi attuali incontriamo facilmente solitari felici e single soddisfatti. Ma c’è anche un altra dimensione della solitudine, patita e non voluta, dominata dalla assenza di relazioni personali significative, e quindi sinonimo di marginalità e di anomia psicosociale.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
DE LEO DIEGO. NEMICA SOLITUDINE. CONVEGNO NAZIONALE, UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA, 15 NOVEMBRE 2018
GORI GUIDO. LA CURA RICHIEDE UNA RETE. L’ARCO DI GIANO:RIVISTA DI MEDICAL HUMANITIES, LA SOLITUDINE NELLE RESIDENZE SANITARIE, NOVEMBRE 2018